Il dagherrotipo. Problematiche del deterioramento

Mai come nel caso del dagherrotipo ci troviamo a constatare che la fotografia è, prima di ogni altra cosa, un oggetto: e un oggetto complesso, alla cui costruzione (o distruzione) concorrono una miriade di fattori, alcuni chimici, altri meccanici. Nella veste più strutturata del dagherrotipo, quella che vede la lastra custodita in astucci, i danni fisici possono coinvolgere l’intero corpus dei componenti, dal sistema di chiusura dell’astuccio stesso (fibbia-gancio-cerniere), alla sua struttura, al cuscinetto in velluto (pad) solitamente posto sull’anta sinistra del pacchetto; ancora possono interessare la guarnizione (pinch pad) che accoglie l’immagine montata per arrivare al vetro di protezione, il preserver, la finestra e la lastra. Nel caso di lastre con montaggio alla francese, dove spesso i vetri sono dipinti, e le finestre contornate da linee dorate in polvere d’ottone o foglia d’oro, troviamo comunemente danni allo strato pittorico applicato al vetro così come alla cornice o al passepartout.

dagherrotipi
Lastra montata alla francese con passepartout in carta, sporco e con lacuna

I dagherrotipi stereoscopici, a causa di cedimenti nel posizionamento della lastra, possono presentarsi sfasati rispetto alla collocazione che permette la corretta visione tridimensionale. Nell’eventuale montaggio conservativo dei dagherrotipi stereoscopici bisognerà anche contenere lo spessore del pacchetto finale per poter inserire la stereoscopia nel visore e godere appieno dell’effetto tridimensionale. Una curiosa particolarità riguardante le lastre dagherrotipiche risiede nel fatto che la lucidatura della lastra non avveniva in maniera trasversale ma dall’alto al basso, questo per rendere possibile la visione dell’immagine nei visori lenticolari, nei quali la luce proveniva dall’alto, Le impronte delle morse per la lucidatura, un forellino situato nell’angolo e il taglio o l’abbassamento/rialzo degli angoli della lastra non sono da confondersi con danni ma sono invece da considerarsi interessanti caratteristiche che ci forniscono informazioni preziose sulla storia e sugli apparati che hanno contribuito alla nascita del dagherrotipo.

Osservare le condizioni della superficie della lastra permette di individuare la presenza di frammenti provenienti da parti del montaggio o dall’esterno: può trattarsi di depositi cristallini formati da polvere proveniente dal passepartout o dal mat ma anche dai pigmenti usati per la colorazione, dal rossetto da argentiere usato per la pulitura o anche piccoli fili provenienti dal cuscinetto in tessuto.

L’abrasione della lastra è il danno fisico più frequentemente riscontrato: può essere causato da maldestre manipolazioni, tentativi di spolveratura, pulitura oppure dallo smontaggio poco attento del pacchetto. Il sottile strato superficiale è particolarmente delicato, specie nelle lastre prodotte con laminazione. Nei casi gravi, grosse aree abrase possono disturbare la visione dell’immagine. Tale abrasione può essere prodotta per imperizia (per esempio se causata da pulizia o lucidatura) o accidentale (ad esempio, quando prodotta da maldestra movimentazione). Può anche essere causata dal contatto con il mat in ottone, e tale ipotesi si verifica generalmente quando il mat viene montato o rimosso, o se il pacchetto è sciolto e i componenti (lastra, mat, vetro) sono in grado di spostarsi liberamente tra di loro. Lunghe tracce sui bordi possono essere causate dall’estrazione della lastra dalla scatola con scanalature in cui veniva custodita. Altri danni sono scheggiature, graffi, raschiature, sgorbiature, tracce di impronte digitali.

Il restauro della fotografia. Dagherrotipi. Problematiche del deterioramento
Dagherrotipo stereoscopico montato sotto passepartout in cartoncino

L’esfoliazione è il sollevamento dello strato di argento dalla base di rame, la cui causa è da ricercare in corrosione, traumi termici che possono essere causati alla lastra in occasione della preparazione della stessa o interventi di pulitura. Anche una imperfetta produzione, che ha causato una cattiva adesione dell’argento al rame, può essere l’origine di tale danno.

L’assenza del vetro causa danno chimico per via del contatto con l’atmosfera ed espone la delicata superficie della lastra ad abrasioni e graffi. Quando il vetro di supporto si rompe, diviene palese come il contatto con l’ambiente sia dannoso per il dagherrotipo. La netta ossidazione che ricalca i margini della rottura è presto evidente. Nel frattempo, il vetro rotto, tenuto insieme dai nastri di sigillatura, imprigiona sotto di sé e a contatto con la lastra minuscole schegge che possono causare graffi e abrasioni. Il vetro ottocentesco (molto alcalino) utilizzato per il montaggio soffre particolarmente in caso di conservazione in ambiente umido (U.R. > 42%).

Quando si osservano sulla superficie interna del vetro aree opacizzate con o senza depositi oleosi, si è al cospetto del cosiddetto weeping ed è opportuno intervenire con la sostituzione del vetro di copertura, impiegando particolare attenzione nello smontaggio della lastra in quanto i depositi di silicato altamente corrosivi, che costituiscono l’alterazione del vetro, possono causare danni alla lastra. Ma la più tipica alterazione chimica dei dagherrotipi è l’ossidazione, fenomeno che avviene quando l’aria e gli elementi chimici che la compongono, a causa dell’assenza, rottura del vetro o sigillatura inadeguata del montaggio, vengono a contatto con la lastra argentata. Il fenomeno procede generalmente dall’esterno verso l’interno della lastra (edge tarnish front), è causato principalmente dallo zolfo presente nell’atmosfera e spesso s’intensifica in vicinanza del passepartout (mat tarnish front): In questo caso si riscontra spesso ossido d’argento. In alcuni casi ossidi e solfuri d’argento possono generare colori di interferenza.

Altra manifestazione del deterioramento sono gli aloni bianchi. Studi Raman hanno accertato che i composti presenti nelle aree ad alone biancastro sono formati da composti di cloruro d’argento. Non si è certi dell’origine di questa alterazione, il cloro potrebbe essere conferito dal bagno di doratura o da lavaggi successivi o ancora provenire dall’atmosfera, specie in località sul mare e con alta percentuale di umidità relativa.

Il restauro della fotografia. Dagherrotipi. Problematiche del deterioramento
Lastra dagherrotipica: alcune caratteristiche

Su lastre trattate con tiourea, invece, possono manifestarsi piccole macchie scure arrotondate, formate da cristalli d’argento, cloro, mercurio, tracce di zolfo e silicio che derivano da residui del trattamento non eliminati col lavaggio; queste macchie sono definite come morbillo dagherriano.

Oltre al danno ossidativo, può avvenire la corrosione del rame: la degradazione elettrochimica della lastra di rame per reazioni con l’ambiente o reagenti applicati può influenzare consistenza, colore o forma dell’oggetto. La corrosione è accelerata dalla presenza di acidi, basi e sali alogeni. Depositi di sale di rame sulla superficie della lastra sono un esempio di corrosione di rame.

I danni biologici si manifestano, come per gli altri fototipi, in caso di elevata umidità: in combinazione con macchie di rame, cristalli di solfuro d’argento e variazioni di ossidazione è possibile osservare la crescita di muffe.

Nell’epoca in cui assistiamo al tramonto della fotografia intesa come entità fisica realizzata dall’impressione della luce e dalla chimica, la conservazione del dagherrotipo è oggetto di attenzione, analisi e ricerche scientifiche. Per la ricerca sono state utilizzate sia lastre ottocentesche, sia dagherrotipi contemporanei paragonabili ai loro predecessori del XIX secolo per caratteristiche qualitative e quantitative strutturali. Negli ultimi anni sono stati condotti studi estremamente interessanti mirati alla caratterizzazione, documentazione e monitoraggio di questi affascinanti materiali fotografici, attraverso tecniche di analisi non invasiva, in particolare spettroscopia infrarossa, SEM-EDS, FTIR e Raman. Anche la metrologia ottica di superficie si è rivelata ideale per l’esame della lastra dagherrotipica: questa tecnica non invasiva e non distruttiva permette l’esame e favorisce la conservazione e il restauro di originali caratterizzati dal sottile spessore dello strato superficiale e consente di osservare le differenze tra immagine e substrato, di misurare profondità di graffi e spessore delle macchie e dei difetti della lastra nonché raccogliere dati per monitorare le condizioni e i cambiamenti dell’originale nel tempo. L’analisi della fluorescenza a raggi X (XRF) può invece essere utilizzata per determinare la composizione dell’immagine, per scoprire se la lastra è stata sottoposta a doratura, per identificare la lega di rame utilizzata per il substrato, per aiutare a identificare depositi superficiali, la corrosione e prodotti componenti l’ossidazione. Anche l’osservazione delle lastre e dei vetri di protezione a luce UV-A e UV-C permette di identificare i costituenti non visibili a occhio nudo e di monitorare lo stato di conservazione ed i trattamenti sugli oggetti.

Sotto illuminazione UV-A si può osservare la condizione della superficie del dagherrotipo: fibre, specie se moderne, e polvere rilucono e le aree di corrosione biancastre, prevalentemente composte da cloruro d’argento, vengono chiaramente evidenziate. L’osservazione della lastra sotto luce UV-C può invece rivelare la presenza di composti di cianuro di rame che possono provenire da fonti diverse, come l’electroplating (l’argentatura industriale), la doratura o il bagno di pulitura in cianuro di potassio.

Il restauro della fotografia. Dagherrotipi. Problematiche del deterioramento
Lastra ossidata in corrispondenza della rottura del vetro protettivo

Per quanto riguarda la riproduzione fotografica degli originali dagherrotipici esiste un protocollo che suggerisce un minimo di 40 riprese digitali per ogni oggetto. La quantità apparentemente copiosa di immagini è presto giustificata se pensiamo a una riproduzione che documenti la cornice o l’astuccio, chiuso e aperto, recto e verso, il sistema di chiusura e di cerniere, il vetro di protezione ed il mat, a luce normale e radente UV-A e UV-C, il cuscinetto, il preserver. A volte sono anche presenti etichette o oggetti inseriti nel pacchetto di montaggio. La lastra dovrebbe essere ripresa in maniera normale, speculare al fine di documentare l’ossidazione e a luce UV-A e UV-C per esaminare eventuali fluorescenze. Anche il verso della lastra, ovviamente, andrebbe fotografato a luce normale, UV-A e UV-C; hallmarks, punzoni e particolarità della lastra, come fori e tacche, andrebbero documentati come dettagli con lente macro, così come eventuali depositi sulla lastra. Una siffatta documentazione ci permetterà di controllare l’evoluzione dello stato dei conservazione dei dagherrotipi e il loro evolversi nel tempo, così come prima e dopo eventi quali mostre, esposizioni, interventi di restauro o trasferimenti in nuovi locali di conservazione. Per quanto riguarda l’acquisizione digitale della lastra è stata proposta una interessante soluzione che prevede di effettuare la scansione della lastra utilizzando uno scanner piano a fuoco variabile dal quale sia stata rimossa la lastra in vetro.

Estratto da:
Il restauro della fotografia. Materiali fotografici e cinematografici, analogici e digitali
a cura di Barbara Cattaneo
Nardini Editore

Restauro della fotografia. Materiali fotografici e cinematografici, analogici e digitali

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