Il linguaggio classicista messo a punto da Annibale Carracci fu emulato a tal punto dagli allievi rendendo così tanto omogenea la produzione del maestro e dei suoi collaboratori da rendere spesso impossibile discernere gli apporti. In particolare, gli ultimi anni di attività di Annibale rappresentano un banco di prova su cui la critica si è spesso arenata. Per le opere risalenti a tale periodo, infatti, sono spesso divergenti, se non opposte, le opinioni riguardanti il grado di autografia del maestro, l’entità di partecipazione della bottega e, all’interno di questa, l’individuazione del collaboratore, all’interno di una rosa di personalità ormai quasi pienamente sviluppate e autonome, che di lì a pochissimo tempo, rappresenteranno i campioni del classicismo di impronta bolognese nei primi decenni del sec. XVI.
Esempio tipico di questa querelle critica è rappresentato dalla Susanna e i vecchioni della Galleria Doria Pamphilj la cui complessa vicenda attributiva è stata solo di recente sciolta. In passato, basandosi su un passo di Bellori, è stata ritenuta una copia del giovane Lanfranco da un originale creduto disperso di Annibale Carracci; successivamente, riconoscendo delle incompatibilità stilistiche con quanto noto del Lanfranco, la sua paternità è stata spostata al Domenichino, mantenendone comunque lo status di copia da un perduto originale del Carracci; Andrea G. De Marchi ha infine ricondotto la paternità del dipinto ad Annibale su basi tecniche, stilistiche e documentarie, ricollocando nel suo giusto contesto una tessera relativa alla ancora problematica ricostruzione della tarda produzione di Annibale, isolandola da quella dei suoi allievi e collaboratori.
Tra le motivazioni tecniche addotte da Andrea G. De Marchi vi è anche la presenza di una serie di pentimenti, individuati grazie al solo attento esame visivo ravvicinato, di entità e numero tali da rendere inaccettabile per la tavola Doria Pamphilj lo status di copia. Su indicazione dello stesso studioso, in occasione di una campagna diagnostica condotta dall’ENEA presso la Galleria Doria Pamphilj nel marzo 2007, si è offerta l’occasione di indagare l’opera mediante la ricognizione radiografica di tutta la superficie pittorica e l’analisi in fluorescenza X (XRF).
Il supporto
Il supporto (56.8x86x1 cm) è costituito da due tavole orizzontali, con venature molto evidenti, rinforzate da due traverse verticali, rimosse in passato. Sul lato destro del dipinto, entrambe le tavole presentano fenditure stuccate, che corrono quasi al centro della loro larghezza. Le strisce che nelle immagini radiografiche appaiono meno radiopache sono dovute agli inserti lignei posti in un passato risanamento del supporto; sull’attacco di uno di questi inserti, sulla destra, si osserva un’ampia stuccatura visibile sul retro della tavola; un’altra stuccatura, anch’essa osservabile sul retro, è situata sopra la testa del vegliardo di sinistro e vicino alla fenditura dell’asse superiore. La macchia circolare più radiopaca in corrispondenza degli edifici sullo sfondo a destra è invece dovuta a un bollo di ceralacca apposto sul retro. Due listelli lignei sono fissati ai lati verticali da grossi chiodi forgiati a mano; altri chiodi più sottili e regolari si osservano in radiografia sul lato superiore, in prossimità dell’angolo destro, sebbene non se ne comprenda la funzione. Un ulteriore elemento metallico è confitto nella tavola superiore, a destra della sede della traversa di destra.
Variazioni in corso d’opera
Come già accennato, sul dipinto numerosi e articolati sono i pentimenti, localizzati su tutte le figure nonché sugli edifici dello sfondo e negli elementi architettonici che delimitano la scena.
Il pentimento di maggior entità concerne la figura del vegliardo di sinistra: in fase di abbozzo la posizione del ginocchio destro era stata impostata, con lo scontornamento delle zone adiacenti, più arretrata rispetto alla balaustra, il che connotava l’azione di scavalcare quell’ostacolo come incipiente e non pressoché completata, come nella versione finale. Al di sotto della gamba del vegliardo non era inoltre previsto il pilastrino, come si evince dai contorni delle colonnine della balaustra, sostituite poi dal pilastrino stesso, inserzione che potrebbe essere stata motivata dalla volontà di enfatizzare il gesto del vegliardo, interrompendo la regolarità della scansione delle colonnine.
Sempre sulla medesima figura si osserva una serie di pentimenti nel panneggio del mantello azzurro-violaceo, in parte ampliato andando a sovrapporsi alla stesura del paesaggio (a sinistra) e del manto giallo dell’altro vegliardo (a destra); il manto azzurro-violaceo, inoltre, era inizialmente tenuto fermo da un fermaglio a forma di borchia sulla spalla destra, mentre nella soluzione finale appare annodato. Sulla veste azzurra si osserva infine un cretto molto ampio nelle zone più scure, tipico del ritiro da eccesso di legante, come spesso si rileva nelle stesure a base di lapislazzuli.
Nella figura del vegliardo di destra l’unica variazione percepibile concerne la sfilacciatura dell’orlo del manto sulla spalla destra, che in fase di abbozzo mostra un tratto lineare continuo. Questa modifica e l’eliminazione del fermaglio metallico sul manto dell’altro vegliardo mostrano l’intenzione di sottolineare nelle vesti la bassa condizione, non solo morale, dei due importunatori, quasi degli accattoni o disperati.
Anche la figura di Susanna è interessata da numerosi pentimenti, tutti di lieve entità. È stato, ad esempio, leggermente modificato il profilo della spalla destra, inizialmente più tornito, mentre il lembo del panno bianco tenuto dalla mano destra appariva sopra il dorso della mano, poi cancellato e spostato oltre le dita,e la grande piega che ricade dalla coscia destra non copriva la caviglia.
Variazioni, seppur non vistose, si rilevano nelle architetture dello sfondo. […]
(L’articolo integrale, di Pietro Moioli e Claudio Seccaroni, è contenuto nel numero 29 del Bollettino ICR – Nardini Editore)
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