La Chiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale, la cui fabbrica fu avviata nel 1716, è una delle massime espressioni artistiche di Filippo Juvarra, sintesi del perfetto equilibrio tra proporzioni e volumi. Purtroppo l’architetto lasciò incompiuta l’opera dal 1730 per impegni assunti presso altre residenze sabaude. Infatti la cupola, mai realizzata, fu dipinta successivamente da Giovanni Galliari su tela applicata ad un plafone piano; esternamente la facciata, in mattoni a vista, presenta le ammorsature per cornici e aggetti anch’essi mai realizzati.
Anche la cappella è connotata, come tutta la Reggia, da un susseguirsi di modifiche e riplasmazioni su progetti e disegni mai realizzati o parzialmente raccordati con edifici o manufatti incompiuti, determinando quello stato di “non finito” visibile negli anni passati.
Il mancato completamento delle opere architettoniche nei punti critici di raccordo e l’utilizzo dei materiali prescelti da Juvarra – calce magnesiaca con clasti di gesso, finalizzati a rendere il chiarore degli stucchi – avevano determinato la necessità di manutenzione già pochi anni dopo la costruzione della chiesa nella seconda metà del Settecento.
Dopo un graduale abbandono della residenza della Venaria Reale da parte dei Savoia, in favore della Palazzina di caccia di Stupinigi, tutto il complesso nel 1820 venne assegnato ai militari che vi insediarono una caserma. Iniziò così un lungo e inesorabile declino e degrado dell’intero complesso architettonico, salvato dal crollo unicamente grazie alle minime opere provvisionali e di mantenimento realizzate dai militari ma che avevano stravolto completamente la natura del bene tanto da relegare a magazzino e deposito la superba architettura della chiesa.
Testimonianze storiche dell’archivio “d’Andrade” della Soprintendenza documentano, già dal 1906, come in poche decine di anni la chiesa aveva raggiunto il massimo degrado tanto da arrivare nelle mani della Soprintendenza priva di qualsiasi arredo e suppellettile, con gravi infiltrazioni d’acqua che deterioravano intonaci, stucchi e parti lignee, oggetto di continui e reiterati furti e atti vandalici perpetrati ad opera dei militari e della stessa popolazione di Venaria.
In una tale desolante situazione di grave compromissione del bene, gli interventi dei soprintendenti, caratterizzati altresì da scarsissimi fondi che il Ministero poteva allora stanziare, furono mirati unicamente a tamponare il totale e progressivo degrado e nel 1960, in occasione delle manifestazioni per il centenario dell’Unità d’Italia, il soprintendente Chierici ricostruì gli apparati decorativi interni a stucco con una pasta di gesso e canapa, cercando di dare un aspetto formale provvisorio di “finito” alla chiesa.
Nei successivi vent’anni furono effettuate opere minime di manutenzione e solo nel 1980, con i progetti FIO, fu possibile realizzare una serie di opere consistenti e programmate, atte alla salvaguardia della chiesa, ma senza mai raggiungere l’aspetto finito del bene.
I recenti lavori di restauro sono stati finalizzati a fornire una visione unitaria di insieme, lasciando vedere gli interventi effettuati, salvaguardando l’intonaco antico ancora in buono stato limitandosi al rifacimento delle parti ammalorate senza consistenza
L’operazione di restauro è stata preceduta da un’attenta campagna di indagini diagnostiche, costituita da più di 1500 analisi, realizzata preventivamente ai lavori, gettando così le basi, già nel 1995, per la ricerca in via sperimentale, al fine di abbattere i costi di restauro, individuare premiscelati a base di calce naturale, con certificazione a norma europea, ma di composizione materica simile alle malte e agli stucchi marmorini juvarriani, al fine di eliminare anche il problema della ricerca empirica e della posa di prdotti di composizione non idonea e realizzati in loco dal posatore.
Il concetto assunto come elemento fondamentale è stato quello di riproporre nuovamente l’immagine di unitarietà della chiesa, ponendo attenzione a non ricostruire completamente e in modo asetticamente perfetto gli elementi architettonici e gli stucchi, ma riproponendoli in maniera più fluida, lasciando intravedere gli interventi del rifacimento, provvedendo poi a dare la giusta cromia risultata dalle analisi, attraverso una velatura a calce e non con tinta piena, così come aveva in origine realizzato lo stesso Juvarra.
Le parti originali sono state accuratamente ripulite con un paziente lavoro di bisturi o in il metodo sperimentale “jos rotec” – procedimento basato su un processo a vortice rotativo a bassa pressione, delicata, graduabile e selettiva, che permette di operare in maniera tale da mantenere intatta la patina di invecchiamento, consentendo al restauratore di controllare in maniera continua ogni singola fase della pulitura senza dover attendere i risultati affidati all’azione di strumenti non controllabili come l’uso di impacchi di sali d’ammonio o altro – fino al raggiungimento dello strato originario dello “stucco marmorino” e lasciando visibili in alcuni punti i segni grafici rinvenuti. Le parti di integrazione degli elementi decorativi sono state trattate riproponendo la sagoma e la forma architettonica originaria, in modo da rendere evidente a un esame ravvicinato, l’intervento realizzato. Analogamente si è proceduto per gli stucchi: i calchi sono stati realizzati in loco per elementi ripetitivi decorativi, quali palline, rosoni, ghirlande; per il rifacimento delle cornici sono state realizzate idonee “dime”, così come prescriveva Juvarra, per essere “tirate” a mano con le stesse tecniche antiche.
L’altare, che domina l’intera cappella per l’eleganza e la raffinatezza dei suoi elementi compositivi in marmo policromo, è stato oggetto di un complesso intervento di restauro; le componenti erano state smontate negli anni ’80, in occasione dell’intervento di risanamento e rifacimento della pavimentazione della zona absidale e, al fine di evitarne dispersione e furti, esse erano state depositate in attesa del completo restauro della chiesa.
Il pavimento è stato realizzato con l’uso di lastre di pietra di dimensioni 53 x 53 cm, in quadroni alternati bianchi e grigi e posti in diagonale, con fasce grigie laterali che centrano il rosone della cupola centrale. La particolare lavorazione antichizzata eseguita con spigoli arrotondati e la posa in opera, completata da ceratura finale, si accosta perfettamente alla lavorazione dell’apparato lapideo dei basamenti di rivestimento dello zoccolo, dando quella completezza alla chiesa, mai realizzata dallo Juvarra, così come ripropone un dipinto della Chiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale del 1798 ad opera di Giovanni Battista Bagnasacco custodito nel castello di Racconigi.
Un intervento con prodotti sperimentali è stato realizzato sul tamburo della cupola, rifatto completamente nell’anno 1980. Le analisi, effettuate sul campione prelevato, hanno rilevato la precarietà dello stato di conservazione della pellicola pittorica, la cui superficie si presentava polverulenta, granulosa e, quindi, porosa. Lo studio analitico, seguito poi da idonea sperimentazione in laboratorio, ha permesso di individuare una formula chimica di una particolare “microemulsione” in sostituzione della macroemulsione “Primal AC 33” (da anni non più in produzione) che, date le sue caratteristiche, è riuscita a penetrare in profondità, fissando la pellicola pittorica. Essa, inoltre, essendo a base acquea, è inodore, non tossica, non esercita azioni aggressive sui supporti o sulle superfici cui viene applicata.
Parallelamente a tutti i lavori effettuati, sono stati comparati i dati di archivio, le ricerche storiche, i rilievi architettonici, la ricca documentazione fotografica d’archivio della Soprintendenza, e le analisi diagnostiche verificando la veridicità dei primi e l’esattezza delle seconde.
Entrando oggi nella Chiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale, ciò che attrae e rapisce l’occhio del visitatore è un’immagine unitaria nitida nonostante lo spazio interno presenti un profilo movimentato; maggiormente affascina un gioco di luci ed ombre tale da modificare in continuazione la prospettiva in relazione al fascio di luce che colpisce il singolo elemento architettonico, modificandone il volume rispetto all’insieme.
Questa era la volontà di Juvarra, e con vivo apprezzamento rispetto al genio intellettuale che egli ha saputo tradurre in opera, oggi possiamo fieramente ammirare, dopo i restauri, la perfezione dell’oggetto, la simmetria delle forme, la giusta croma dell’elemento architettonico.
(Il resoconto completo del restauro da parte del Centro di Restauro della Venaria Reale è stato pubblicato a cura di Carla Enrica Spantigati nel volume Restauri per gli altari della Chiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale, Nardini Editore)
Restauri per gli Altari della Chiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale
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