La vernice viene usata per la protezione della pellicola pittorica sia da esegue un dipinto, l’artista, sia da chi è chiamato a restaurarlo. Con una differenza: che l’artista può, se lo vuole, e nella maggioranza dei casi è stato così, richiedere a tale vernice una funzione estetica e deve quindi prevederne, stanti le sue modificazioni nel tempo, anche la influenza non voluta sul risultato finale della sua opera.
Tale influenza può essere immediata, quindi controllabile, oppure può svilupparsi nel tempo secondo modi solo parzialmente prevedibili dalle conoscenze, dalle esperienze e dalle intuizioni dell’artista; infatti, il dipinto vivrà in un sistema ambientale che per più ragioni offrirà condizioni sempre variabili per clima, composizione atmosferica, illuminazione, ecc.
Per il restauratore la cosa è diversa: egli non può, non deve anzi, influire sulla estetica dell’opera a lui affidata salvo il caso che altri ai quali è delegata la responsabilità della conservazione (in questo caso per le opere tutelate, le Soprintendenze ai Beni Artistici e Storici) non dispongano, se e quando possano disporre, diversamente.
Conseguentemente per il restauratore (in quanto tale) la vernice ideale dovrebbe essere esteticamente inesistente. Ma occorre a questo punto fare una precisazione, distinguendo fra dipinti antichi, per i quali si è avuto, nello scorrere del tempo, una variazione delle caratteristiche della vernice protettiva o la formazione di una patina che ha finito col divenire parte integrante dell’opera, e dipinti contemporanei (o comunque documentati) per i quali la volontà dell’artista e quindi le sue eventuali scelte della vernice in funzione estetica sono note senza ombra di dubbio. Solo quando non sussistano dubbi sul risultato che si vuole raggiungere,la scelta della vernice e delle sue modalità di uso diventa di competenza del restauratore risultando solo e semplicemente un problema tecnica.
La vernice protettiva è essenzialmente composta da un legante naturale o sintetico, veicolato in un solvente che è destinato ad allontanarsi dopo l’applicazione.
I leganti naturali, usati da sempre da pittori e restauratori, godono di una imponente letteratura specifica e hanno a tutt’oggi l’innegabile pregio di essere conosciuti per quanto riguarda il loro comportamento e le loro metodologie di utilizzo, la loro capacità di rispondere più o meno adeguatamente alle principali esigenze del restauro, e anche, purtroppo, le loro influenze negative sul dipinto e la variabilità del loro comportamento nel tempo. Tutto questo inizia a non apparire più sufficiente. Le loro funzioni protettive si sono esplicate, nel tempo, nei secoli, in ambienti pressoché immutati; ma da qualche decennio le condizioni ambientali hanno subito, in relazione alle grandi trasformazioni tecnologiche e comportamentali dell’umanità, mutamenti prima impensabili.
La continua e talvolta massiccia immissione nell’atmosfera di agenti inquinanti, infatti, e la presenza di radiazioni di varia natura (con le relative non ben conosciute interazioni) hanno finito per creare in tempi brevi un nuovo sistema ambientale nel quale il dipinto dovrà permanere senza che se ne sia attuata una specifica protezione. Le conoscenze e le esperienze che fin qui hanno guidato, anche se è eccessivo al momento definirle obsolete, non possono essere più seguite come se nulla fosse accaduto: le nuove condizioni ambientali impongono, almeno, una riconsiderazione della situazione per sapere se i materiali fin qui usati siano ancora idonei allo scopo, se necessitino di una revisione della loro composizione o se non si debba procedere alla loro sostituzione con materiali più idonei.
Per approfondire:
Vincenzo Massa, Giovanna C. Scicolone
LE VERNICI PER IL RESTAURO
I leganti
Nardini Editore