Il biodeterioramento dei materiali avviene mediante meccanismi di diverso tipo: processi fisici o meccanici, che determinano fenomeni di decoesionamento, rottura e disgregazione, e processi chimici che inducono una trasformazione, degradazione o decomposizione del substrato. Questi processi generalmente avvengono simultaneamente ma vi può essere la prevalenza degli uni o degli altri a seconda del tipo di substrato, delle biocenosi, nonché delle condizioni ambientali. Bisogna inoltre tener conto che tra le cause di degrado chimico-fisiche (abiotiche) e quelle biologiche non esiste una netta separazione poiché qualsiasi processo fisico o chimico può indurre o influenzare l’attività degli organismi.
Nella comprensione dei processi di biodeterioramento bisogna ricordare innanzitutto che la colonizzazione biologica di un materiale può implicere:
– L’utilizzazione del substrato come sorgente nutrizionale;
– L’uso del materiale unicamente come supporto al proprio sviluppo.
Per tale motivo è importante introdurre la differenza tra autotrofi ed eterotrofi, rispettivamente organismi capaci di produrre da soli le sostanze organiche necessarie al loro sviluppo e organismi che invece le devono assumere dal substrato. Gli autotrofi (molti batteri, alche, licheni, muschi e piante vascolari, vedi cap. 3) possono, quindi, facilmente colonizzare substrati inorganici, mentre gli eterotrofi (molti batteri, funghi, oltre che animali, esclusi però da questo contesto) possono crescere su tali substrati solo se c’è un apporto di sostanze organiche dall’esterno. Per questo motivo l’analisi dei processi di biodeterioramento non può prescindere dalla natura chimica dei materiali (oltre che dai parametri fisici e dalle condizioni ambientali al contorno) ed è utile operare una differenza fra le problematiche di materiali organici (siano essi di origine animale o vegetale), e quelle degli inorganici (vedi cap. 4).
Il biodeterioramento delle opere d’arte costituite da materiali organici (per esempio sculture lignee, dipinti su tela e tavola, libri, pergamene, ecc.) avviene infatti prevalentemente ad opera di microrganismi che li utilizzano a scopo nutrizionale e che sono quindi capaci di degradare enzimaticamente le sostanze organiche costitutive; solo raramente di autotrofi colonizzano tali materiali (per esempio alche e licheni su legno in ambiente esterno).Ciò dipende innanzitutto dalla specificità metabolica degli eterotrofi distruttori, che rapidamente colonizzano e distruggono un materiale che utilizzano come nutriente, a differenza degli autotrofi, a più lenta crescita, che utilizzano il substrato come supporto ai fini di un ancoraggio. Inoltre, le diverse condizioni di conservazione dei reperti e manufatti di natura organica rispetto agli inorganici rappresentano un elemento differenziale importante: i primi sono conservati generalmente in ambienti confinati, dove le condizioni ambientali (soprattutto luce e umidità) sono generalmente limitanti per gli autotrofi (vedi cap. 2).
I materiali inorganici non vengono generalmente utilizzati per motivi nutrizionali, se si esclude l’assorbimento di sali minerali, ma come supporto. Sono quindi attaccati più facilmente da microrganismi autotrofi, spesso però affiancati da eterotrofi. Il biodeterioramento dei beni culturali è raramente causato da un solo gruppo di organismi e dipende quindi da complesse interazioni tra diversi gruppi coesistenti.
Al di là dei fattori ambientali che innescano i fenomeni di biodeterioramento e dei processi specifici di degrado dei materiali, che verranno analizzati rispettivamente nei capitoli 2 e 4, esistono proprietà intrinseche dei materiali che è opportuno evidenziare preliminarmente all’analisi dei singoli processi.
Con il termine di bioricettività, introdotto da Guillitte (1995) per i manufatti lapidei e successivamente esteso a tutti i beni culturali, si indica l’attitudine di un materiale ad essere colonizzato da uno o più gruppi di organismi senza andare incontro necessariamente al biodeterioramento. La natura dei materiali e quindi la loro diversa composizione chimica, rugosità superficiale, porosità nonché il loro stato di conservazione condizionano infatti l’attecchimento e lo sviluppo di organismi che potrebbero causarne in diversi modi il deterioramento. In funzione degli stadi che si possono riconoscere nei processi di colonizzazione si distinguono una bioricettività primaria, secondaria e terziaria. Quella primaria indica il potenziale iniziale di un materiale ad essere colonizzato. Nel tempo, in seguito all’azione degli organismi e/o di altri fattori esogeni, questa si trasforma nella bioricettività secondaria. Infine qualsiasi attività umana che interferisce con i materiali (per esempio consolidamenti, trattamenti con biocidi, ecc), e quindi ne modifica le caratteristiche, induce una bioricettività terziaria. L’effettiva bioricettività dei vari materiali non è nota ma mediante opportuni testi di laboratorio con diversi gruppi di organismi potrebbero essere elaborati degli indici che forniscono informazioni sul rischio di colonizzazione di un certo materiale o ancora sull’efficacia di determinati trattamenti.
Per approfondire l’argomento: